Chiara Nicolai

Vi fornisco elementi più precisi in merito al quesito che vi ho posto ieri 4 giugno alle 15:28 e a cui mi avete molto gentilmente e sollecitamente fornito risposta alle 18:01.
Mio padre e la moglie (classe 1923 lui e 1927 lei) non possedevano alcun patrimonio immobiliare, ma solo mobiliare rappresentato da tre c/c:
1) intestato a entrambi e in cui venivano accreditate le loro pensioni e serviva per la vita corrente;
2) intestato solo a mio padre, aperto cinque mesi prima che la moglie morisse e in cui da quel momento veniva versata la pensione di lui e da lì uscivano i bonifici o assegni per il pagamento della retta della casa di riposo in cui vivevano. Il c/c 1) da quella data serviva solo per l’accredito della pensione di lei che veniva regolarmente prelevata con bancomat;
3) un c/c intestato solo a lei, aperto nel 2010 con movimenti molto cospicui, diverse centinaia di migliaia di euro, attraverso compra/vendita di azioni, obbligazioni, fondi di investimento ecc. In questo conto 3) viene versato anche l’importo derivante dalla vendita della casa dove la coppia aveva fino ad allora vissuto (2014) e che era di proprietà di mio padre e non rientrante in comunione dei beni. E’ un conto di private banking dal quale nell’arco del secondo trimestre 2015 parte una serie infinita di vendite dei titoli e riscatto dei fondi posseduti (oltre 40 operazioni) che comporta accrediti sul conto per circa due milioni e mezzo di euro, i quali vengono con un’unica operazione investiti nella sottoscrizione di una polizza vita a favore di un beneficiario terzo. Dopo qualche mese la titolare del conto sottoscrive anche un’altra polizza vita per un valore di 300.000 euro, sempre a favore di un beneficiario terzo: con questa operazione viene pressochè prosciugata la disponibilità del conto che verrà chiuso definitivamente ad agosto 2017, quattro mesi dopo il decesso della titolare, avvenuto nell’aprile 2017.

Premettendo che tutti questi movimenti sono stati effettuati con il pieno consenso di mio padre, che dal momento del suo nuovo matrimonio aveva voluto rompere ogni rapporto con mia sorella e me, Vi ripongo però il quesito: poteva accettare una “donazione” disposta da sua moglie a favore di terzi e che utilizzava l’intero patrimonio pur sapendo di avere lui due eredi legittime, nelle figure delle figlie? Poteva cioè rinunciare deliberatamente alla sua quota di legittima, anche se questo poi a sua volta si sarebbe ripercosso sulle sue proprie eredi?

A puro titolo informativo aggiungo che il c/c private intestato solo a lei era in realtà alimentato solo dai soldi di mio padre, sia provenienti dalla vendita della sua casa sia soprattutto provenienti dalla sua professione di ingegnere libero professionista di notevole successo, mentre lei aveva lavorato come segretaria fino a 40 anni e poi era diventata casalinga baby pensionata.

Quelle sottoscritte dalla seconda moglie di suo padre sono assicurazioni sulla vita a premio unico: l’indennizzo viene corrisposto, in caso di decesso del contraente, direttamente ai beneficiari, che possono essere anche terzi rispetto all’asse ereditario.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3263/2016, ha statuito che le polizze vita con contenuto finanziario devono essere qualificate come “donazioni indirette” a favore dei beneficiari delle polizze stesse. Esse dunque saranno soggette al regime delle donazioni applicabile in caso di successione del contraente con contestuale applicabilità dell’imposta di donazione e del regime codicistico per le problematiche successorie.

In pratica, nell’assicurazione sulla vita la designazione quale terzo beneficiario di persona non legata al designante da alcun vincolo di mantenimento o dipendenza economica deve presumersi, fino a prova contraria, compiuta a spirito di liberalità, e costituisce una donazione indiretta. Peraltro, potrebbe essere eccepita dagli eredi legittimi del coniuge pretermesso (il vedovo), la dissimulazione della donazione attraverso un contratto oneroso con la compagnia di assicurazione.

Il marito della signora, alla morte di costei, avrebbe potuto esercitare azione di riduzione delle donazioni (dirette e indirette) effettuate in vita dal coniuge, avendo egli avuto diritto, in assenza di testamento, nonché di ascendenti, fratelli e sorelle della defunta, al 100% del patrimonio.

In conclusione, aver rinunciato ad esercitare l’azione di riduzione della donazione al terzo, ha comportato un ingiustificato arricchimento del terzo a danno dei discendenti del vedovo chiamato all’eredità. A parere di chi scrive, potrebbe essere esercitata dalle figlie del vedovo, consapevolmente consenziente alla propria pretermissione (in pratica, una sorta di rinuncia all’eredità, ma effettuata con modalità tale da danneggiare ed escludere le due sue figlie che sarebbero subentrate in rappresentazione), azione di illecito arricchimento nei confronti del terzo beneficiario della polizza vita a premio unico, ex articolo 2041 del codice civile: la norma citata, infatti, stabilisce che il soggetto il quale (il terzo), senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Ma, occorre affidarsi ad un avvocato esperto e ben motivato.


Per visualizzare l'intera discussione, completa di domanda e risposta, clicca qui.